Dalla Quaresima alla Pasqua: scopri le tradizioni d’Irpinia

da | 15 Apr, 2025 | Storia | 0 commenti

La Quaresima

La Quaresima è un periodo di profonda riflessione e preparazione per la Pasqua, che affonda le sue radici nel racconto evangelico dei 40 giorni trascorsi da Gesù nel deserto. Questo tempo di preghiera, digiuno e purificazione è iniziato con il Mercoledì delle Ceneri, che nel 2025 è caduto il 5 marzo, e terminerà con l’inizio del Triduo Pasquale, il 17 aprile. Coincide con la fine del Carnevale, il cui nome deriva dal latino “carnem levare“, ovvero “privarsi della carne”, in Irpinia la Quaresima è vissuta con una serie di tradizioni che si tramandano da generazioni, creando un legame profondo tra fede, cultura e identità locale.

I “Sepolcri” o “Re Sebborcra”

Una delle tradizioni più diffuse in Irpinia è quella dei “Sepolcri”, in dialetto “re sebborcra“. Questa pratica consiste nella preparazione di germogli di grano che simboleggiano la resurrezione di Gesù. Il procedimento è semplice: il grano viene disposto su una base spugnosa di ovatta, tessuto o paglia, innaffiato e lasciato germogliare in un luogo buio e fresco. Privati della luce solare, i germogli assumono un caratteristico colore bianco o paglierino. Questi vengono poi utilizzati per decorare gli altari della reposizione durante il Giovedì Santo. La tradizione è particolarmente sentita nei comuni di Teora, Montella, San Potito, Sorbo Serpico e Atripalda.

I Quaresimali di Calitri

Durante la Quaresima, in molte case irpine si preparano dolci semplici e poveri di grassi, ma ricchi di sapore e tradizione. Tra questi spiccano i Quaresimali di Calitri, biscotti fragranti simili ai cantucci, ma caratterizzati da ingredienti unici come il pan di spagna sbriciolato e spezie come cannella, chiodi di garofano e noce moscata. La loro preparazione prevede la tostatura delle mandorle e la lavorazione dell’impasto con zucchero, farina, uova e spezie. Dopo la prima cottura, i biscotti vengono tagliati e tostati nuovamente per ottenere la loro caratteristica croccantezza.

La Quarantana: La Bambola della Quaresima e i calendari “quaresimali”.

Tra le tante tradizioni che raccontano l’anima dell’Irpinia, ce n’è una che parla di fede, ingegno popolare e memoria contadina: è la storia della Quarantana, la bambola della Quaresima. Realizzata il Mercoledì delle Ceneri, questa bambola di pezza, vestita interamente di nero, rappresentava la “vedovella” del Carnevale, simbolo del lutto e del raccoglimento che accompagna la comunità durante il periodo quaresimale. Ma la sua funzione andava ben oltre quella simbolica.
Nata in un contesto in cui gran parte della popolazione era analfabeta, la Quarantana serviva come un calendario visivo e popolare per segnare il tempo fino alla Pasqua, festa mobile e dunque difficile da prevedere senza un vero calendario. A differenza del Natale o della festa patronale, la Pasqua cambiava ogni anno e veniva calcolata in base al ciclo lunare, rendendo necessaria una soluzione semplice ma efficace per identificarne l’arrivo. La tradizione più particolare arriva da Aquilonia, raccontata da Vito Coppola e Valerio Coppola, del Museo Etnografico “Beniamino Tartaglia”. Qui, la Quarantana veniva creata infilzando una patata — posta sotto le sue vesti — con sette piume di gallina: sei nere e una bianca. Ogni domenica successiva alle Ceneri, veniva rimossa una penna nera; la penna bianca, l’ultima rimasta, indicava l’arrivo della Settimana Santa e della Pasqua. Un gesto semplice che univa tutta la comunità nel conto alla rovescia verso la resurrezione. La bambola veniva appesa ai balconi o tra le case, visibile a tutti, come un monito silenzioso alla penitenza e alla riflessione. Questo rituale si è diffuso in particolare nell’Alta Irpinia e nelle zone confinanti con la Puglia e la Basilicata, dove la cultura contadina si è fusa con quella religiosa in forme originali e sentite.


Fino a qualche anno fa, prima della pandemia, il Museo di Aquilonia invitava le scolaresche a costruire insieme la Quarantana, un’attività educativa che faceva riscoprire ai più piccoli la bellezza di tramandare i saperi dei propri nonni. Oggi più che mai, ci auguriamo che questa tradizione venga recuperata, condivisa e valorizzata, per non perdere un lascito culturale che ci parla di chi eravamo e ci aiuta a capire meglio chi siamo.


Il giorno delle Ceneri si costruivano anche altri tipi di calendari:
“Si facevano quarantasei nodi su un filo o su una cordicella: ogni giorno se ne tagliava o bruciava uno, fino a Sabato Santo.
Si svuotava una zucca e vi si deponevano quarantasei ceci, da togliere uno al giorno, fino a Sabato Santo: dal suono del contenitore ticchettato o dal numero dei ceci residui si deduceva, approssimativamente o con precisione, il numero dei giorni mancanti.”


La quarantana e gli altri calendari quaresimali vengono ampiamente e esaustivamente illustrati all’interno del volume “Religiosità popolare. Riti, credenze e mondo magico” – Beniamino Tartaglia 2004, nella collana «I quaderni del Museo», vol. 8, presente nel Museo Etnografico di Aquilonia (p. 80).

Il Triduo Pasquale

La Quaresima si conclude con l’inizio del Triduo Pasquale, il cuore dell’anno liturgico, che ha durata di tre giorni liturgici, ma si sviluppa in quattro giorni civili. Nel 2025, il cammino della Passione, Morte e Resurrezione di Cristo prende avvio il Giovedì Santo, 17 aprile, con la Messa vespertina in Coena Domini, memoriale dell’Ultima Cena e dell’istituzione dell’Eucaristia. Prosegue il Venerdì Santo, 18 aprile, giorno di silenzio, digiuno e preghiera, in cui la Chiesa non celebra l’Eucaristia ma si raccolgono offerte per la Giornata per la Terra Santa. Il percorso continua il Sabato Santo, 19 aprile, giorno del grande silenzio dell’attesa, in cui si medita il mistero della sepoltura di Gesù, per poi culminare nella notte con la Veglia Pasquale, il momento più solenne dell’anno liturgico. Il Triduo si completa con la Domenica di Pasqua, 20 aprile, quando la Chiesa esplode di gioia nel celebrare la Resurrezione di Cristo, trionfo della vita sulla morte, luce sulle tenebre.

Dal Lunedì Santo al Venerdì Santo: I Biancovestiti del Vallo di Lauro

Tra i riti più intensi e coinvolgenti della Settimana Santa nel Vallo di Lauro, si rinnova la suggestiva tradizione dei Biancovestiti, un cammino spirituale e comunitario che inizia il Lunedì Santo e culmina il Venerdì Santo, giorno in cui si celebra la morte in croce di Gesù. Quest’anno il rito ha avuto inizio lunedì 14 aprile con la grande Processione Decanale in programma a Lauro alle ore 18:30, da Piazza Pandola fino al Castello Lancellotti, alla quale parteciperanno tutti i gruppi del Vallo di Lauro – da Marzano a Moschiano, da Pago a Quindici – con la presenza stimata di circa 150 Biancovestiti, ognuno con la propria intonazione e tonalità, a testimoniare la sofferenza del Redentore. Il rito raggiungerà il suo culmine venerdì 18 aprile, quando, all’alba, i Biancovestiti – figure in tuniche bianche, con cappuccio, corona di spine e cordiglio penitenziale ai fianchi – cominceranno il loro pellegrinaggio penitenziale. Scalzi, visiteranno almeno sette sepolcri nei rispettivi paesi, intonando le struggenti quartine della Passione, composte nel Settecento da Luigi Antonio Locatelli. I canti, tramandati oralmente e diversi per ogni gruppo, si fondano su un’eredità sonora che rimanda alla tradizione gregoriana, divenuta nel tempo espressione unica di ciascuna comunità. In serata, dopo i riti della Croce, le loro voci accompagneranno in silenzio la solenne processione del Cristo Morto, mentre ogni paese tornerà a commemorare il sacrificio nelle proprie strade. Riconosciuto ufficialmente come Patrimonio Immateriale Culturale della Regione Campania con Decreto Dirigenziale n. 450 del 5 agosto 2024, questo rito ottocentesco rappresenta un ponte tra fede, cultura e identità. Un momento di intensa partecipazione popolare che richiama ogni anno fedeli, visitatori e tanti emigrati che tornano per rivivere la spiritualità profonda di una tradizione che canta la Passione con parole, silenzi e melodie senza tempo.

Tra Speranza e Dolore: Il Venerdì Santo di Vallata

A Vallata, in provincia di Avellino, ogni anno si rinnova una delle rappresentazioni religiose più antiche e suggestive del Mezzogiorno: la Passione di Cristo. Un rito che affonda le sue radici nel 1541, quando la comunità ebraica del paese, convertitasi al cristianesimo, prese parte per la prima volta a questa toccante rievocazione. Non è una semplice processione né una classica via crucis, ma un’esperienza profonda, intensa, che coinvolge tutto il paese. Oltre duecento figuranti sfilano in silenzio, tra cui giovani vestiti da littori e centurioni romani, simboli del potere imperiale come l’Aquila latina, Cesare Imperatore e Pilato, seguiti dagli incappucciati che portano i “Misteri”, oggetti simbolici e tele settecentesche raffiguranti le scene evangeliche della vita di Cristo. Il passo è scandito da trombe e tamburi, in un ritmo solenne e coinvolgente. A renderlo ancora più toccante sono i “cantori”, gruppi di cinque o sei uomini che intonano i versi struggenti della “Passione di Gesù Cristo” di Pietro Metastasio, in una melodia antica che vibra nel cuore di chi ascolta. Chiudono la processione il feretro del Cristo morto, accompagnato dal sindaco e dai medici del paese, e la Vergine Addolorata circondata da bambine con bandiere listate a lutto. Quest’anno l’appuntamento è per il 17 e 18 aprile: un’occasione unica per lasciarsi attraversare da un’emozione profonda, per vivere la fede, la storia e l’identità di una comunità che, da secoli, continua a raccontare il mistero del dolore e dell’amore.

Nel Cuore della Passione: il Venerdì Santo di Gesualdo

Gesualdo, incantevole borgo in provincia di Avellino, ospita uno degli eventi più emozionanti e attesi della Pasqua: la Rievocazione Storica della Passione di Cristo, un appuntamento che si svolge ogni anno la sera del Venerdì Santo e che coinvolge l’intera comunità in un’esperienza che va oltre la semplice rappresentazione. Questa celebrazione, che si svolge ai piedi del maestoso Castello di Carlo Gesualdo, è un viaggio nelle ultime drammatiche ore della vita di Gesù, arricchito da effetti scenici spettacolari, musica e una regia curata nei minimi dettagli. La manifestazione inizia con la rievocazione della condanna a morte di Cristo, che si svolge nella Piazza Umberto I, dove prendono vita le scene della Cattura, del Processo e della Flagellazione davanti a Ponzio Pilato. Successivamente, la Via Crucis si snoda lungo la salita di Via Municipio, simbolizzando la tragica salita al Monte Calvario, che culmina in una scena potente e commovente sulla sommità dei bastioni del Castello. Qui, le suggestive luci, i suoni dei Responsoria di Carlo Gesualdo fusi con la potenza delle chitarre rock, creano un’atmosfera unica che fa da cornice alla scena finale della Crocifissione. Ogni anno, la rievocazione non è solo un atto di devozione, ma una riflessione profonda sulla condizione umana. Roberto Flammia, regista e direttore artistico dell’evento, ha scelto per l’edizione 2025 il tema della “de umanizzazione”, invitando a esplorare come l’individuo possa essere privato della propria dignità e ridotto a un semplice oggetto, in un’epoca in cui le guerre, le ingiustizie e le violenze quotidiane sembrano spersonalizzare l’essere umano. Quest’anno si svolgerà il 18 aprile a partire dalle 21:30, non mancate!

La devozione dell’incappucciato: il Venerdì Santo di Atripalda

Sempre Venerdì 18 aprile, le strade del centro storico di Atripalda si trasformeranno in un palcoscenico a cielo aperto per accogliere la Via Crucis, un evento intenso e profondamente sentito dalla comunità. A partire dalle ore 18:00, la processione toccherà i principali luoghi di culto della città, per poi culminare sulla collina di San Pasquale, che con la sua atmosfera silenziosa e suggestiva, rievoca in modo autentico il dramma e la spiritualità della Crocifissione. Tra le scene più attese, c’è “La Devozione dell’Incappucciato”, un rito che affonda le sue radici nel 1860, quando un componente della famiglia Giovino interpretò per la prima volta la figura dell’incappucciato penitente. Questa usanza, sospesa negli anni ’80 a causa del sisma, è rinata nel 1997 grazie alla Pro Loco cittadina ed è oggi parte essenziale della rappresentazione della Passione di Cristo. Emozione, memoria e tradizione si intrecciano in un appuntamento che ogni anno richiama centinaia di persone, coinvolgendo volontari, figuranti e l’intera comunità in un racconto corale di fede e appartenenza. Non perdere l’occasione di vivere un’esperienza autentica tra le vie e i cuori di Atripalda.

Il Sabato Santo e il Pastiere Irpino

Il Sabato Santo è il giorno dell’attesa: le lacrime del venerdì lasciano spazio alla speranza. Nei forni a legna si accende la vita, e l’aria si riempie del profumo del pastiere, una ricetta antica che unisce semplicità e sapori autentici. Questa pietanza tipica dell’Irpinia, diversa dalla dolce pastiera, esiste sia in versione dolce che salata.
Il pastiere dolce si prepara con spaghetti lessati, amalgamati con ricotta, zucchero, buccia di limone grattugiata e un pizzico di sale, poi fritti fino a doratura. A piacere, si possono aggiungere canditi, vaniglia e uva passa. A Montoro, invece, il pastiere salato è una vera istituzione. Qui, al posto degli spaghetti si utilizzano ziti o candele intere, cotte al dente e poi mescolate con ricotta, uova sbattute, pecorino, provola, salame, soppressata, burro e parmigiano grattugiato. Dopo aver amalgamato il tutto in una teglia unta di sugna, si spennella la superficie con tuorli d’uovo e si inforna a 150º per circa 30 minuti. Il risultato è un piatto sostanzioso e saporito, perfetto da gustare il giorno di Pasqua, quando finalmente termina il lungo digiuno quaresimale.

E così, tra il dolore della Passione e la dolcezza dei sapori della tradizione, l’Irpinia si prepara a celebrare la Pasqua, rinnovando ogni anno la propria storia, il proprio credo e le proprie radici. Un viaggio nel tempo e nello spirito, dove la memoria si fa viva e il cuore della comunità batte all’unisono. Lasciati avvolgere dalla magia della Pasqua in Irpinia: cammina tra i vicoli antichi, ascolta i canti che parlano d’anima, assapora i piatti della tradizione, vivi i riti che uniscono generazioni. È un tempo unico, un’occasione preziosa per riscoprire emozioni autentiche e sentirsi parte di qualcosa di più grande. Vieni a viverlo con noi! Per maggiori informazioni e per scoprire tutti i dettagli dei nostri eventi, contatta Info Irpinia: siamo pronti a guidarti in questa esperienza indimenticabile!