Il Fiano di Avellino DOCG, insieme al Taurasi e al Greco di Tufo, è uno dei vini bianchi più raffinati d’Italia, apprezzatissimo sia per le sue pregiate caratteristiche organolettiche che per la capacità di acquistare intensità e complessità durante l’affinamento. Viene prodotto a partire da uve Fiano (min.85%) allevate in una zona composta da 26 comuni ubicati tra la Valle del Calore, la Valle del Sabato, le falde del Monte Partenio e le colline che guardano al Vallo di Lauro.
Il Fiano vanta una storia antichissima ma non tutti sanno che qualche decennio fa ha rischiato di scomparire a causa di circostanze sfavorevoli.
La storia del Fiano di Avellino DOCG
Controverse sono le sue origini. Alcuni sostengono che sia stato impiantato in Irpinia dagli Apuani, popolazione appartenente agli antichi liguri che, sconfitti dai romani nel 180 a.C., vennero deportati in Campania e portarono con sé il vitigno nella valle del fiume Calore. Altri pensano che siano stati i Greci ad impiantarlo in Irpinia e che il nome Fiano provenga dal latino “apis”, in quanto uva prediletta dalle api per la sua dolcezza. La terza, e più accreditata ipotesi, è quella che sostiene che il vitigno provenga da Apia, antica cittadina del Peloponneso, e da lì il nome “Vitis Apicia”, da cui vite “Apiana” trasformatasi in Fiano nel corso dei secoli.
I primi riconoscimenti
Sono tanti i documenti che attestano il prestigio e l’importanza che questo vitigno ha acquisito nel corso del tempo. Già nel Basso Medioevo era un vino molto apprezzato, protagonista delle tavole delle corti Sveva e Angioina.
La sua diffusione si è avuta anche grazie al Monastero di Montevergine che, incentivando la vitificazione delle terre incolte, ha permesso lo sviluppo di molte comunità e di molti paesi legati alla produzione di uva.
Nel 1875 il Fiano è stato citato nel bollettino ampelografico e nel 1914 ha fatto la sua comparsa sul manuale di viticoltura del Cavazza.
La fillossera e il rischio scomparsa del Fiano di Avellino
Nonostante fosse un vino molto amato e con una storia gloriosa alle sue spalle, il Fiano a un certo punto ha rischiato seriamente di scomparire.
Nel periodo che intercorre tra la prima e la seconda Guerra Mondiale, in Irpinia la fillossera non è ancora arrivata, motivo per il quale i contadini cominciano a pensare che le loro vigne ne siano immuni, abbassano la guardia e non prendono precauzioni contro la malattia.
Qualche anno dopo però l’epidemia arriva e distrugge gran parte delle viti presenti sul territorio. La situazione è desolante: la povertà post guerra si fa sentire, i contadini cominciano ad emigrare in cerca di fortuna e le campagne si spopolano. A ciò si aggiunge la scarsa produttività e la bassa resa in vino del vitigno, che non ne incentivano la reimpiantazione e la produzione.
La scommessa sul vitigno e la sua rinascita
Nel 1950 la produzione complessiva è bassissima (1000 quintali), principalmente per uso familiare, con poche prospettive di crescita. Il Fiano è vicinissimo alla scomparsa.
Fortunatamente negli anni successivi qualcosa cambia: un imprenditore locale decide di scommettere sul vitigno, sicuro delle sue potenzialità, e chiede ai contadini di reimpiantarlo con la promessa di comprare successivamente le uve prodotte. Il progetto funziona, le campagne tornano a popolarsi di viti e cresce l’interesse intorno al Fiano di Avellino. Aumentano i produttori, la qualità, la ricerca e arrivano i primi riconoscimenti: DOC nel 1978 e DOCG nel 2003. La scommessa sul vitigno è vinta.
Il Fiano di Avellino oggi
Oggi sono circa 850 gli ettari a coltura nella provincia Irpina. Il Fiano di Avellino DOCG è conosciuto in tutto il mondo ed è possibile trovarlo ormai ovunque. L’eccellenza delle produzioni è testimoniata da premi, riconoscimenti e giudizi ottenuti in tutti i concorsi e manifestazioni nazionali e internazionali.
In provincia sono presenti tante cantine che producono e commercializzano vini di assoluta qualità e che pongono al centro della loro missione il rispetto per la natura, il legame con il territorio e con la tradizione. Realtà piccole, spesso a gestione familiare, che custodiscono il sapere, la storia e la cultura di questi posti.
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