La Juta a Montevergine è una tradizione campana che si svolge due volte l’anno e ha come protagonista la Madonna Nera di Montevergine, anche detta Mamma Schiavona. Essa consiste nello scalare una ripida montagna fino a raggiungere il famosissimo Santuario di Montevergine, all’interno del quale è custodita l’icona di Mamma Schiavona.
Il Santuario di Montevergine: dimora di Mamma Schiavona
Il Santuario di Montevergine, in epoca romana tempio dedicato alla dea Cibele, affonda le sue radici nella storia di un giovane pellegrino, Guglielmo da Vercelli, che incantato dalla bellezza del monte, lo scelse come sua dimora. Successivamente, incoraggiato dall’apparizione di Gesù, decise di costruire un Santuario in onore della Vergine Maria.
Nel corso dei secoli, Il primo nucleo eretto nel 1124 si è trasformato fino ad assumere l’attuale conformazione: la nuova e l’antica Basilica, il monastero, la foresteria, il campanile e la cripta. Il complesso, inoltre, è ricco di opere degne di nota come: il baldacchino bizantino del XII secolo, il monumento quattrocentesco a Caterina Filangieri, l’altare di pietre dure, l’icona della Madonna di Montervergine e migliaia di ex voto simbolo della profonda devozione nei confronti di Mamma Schiavona.
La leggenda legata al culto della Madonna di Montevergine
La leggenda che si confonde con la realtà, in uno dei culti più seguiti nel sud Italia, ruota proprio attorno a quel misterioso quadro inserito nel complesso monastico realizzato da Montano D’Arezzo. Su di esso sono state raccontate una miriade di vicende, sulle quali la stessa critica storica e artistica si ritrova profondamente divisa.
«Esse sono tutte belle, tranne una che è brutta e perciò fugge su di un alto monte, Montevergine»
Poiché secondo la tradizione le Madonne sorelle erano 6 bianche e una nera, la Madonna di Montevergine, che per il colore della sua pelle era considerata la più “brutta” delle 7, offesa si rifugiò sul monte Partenio, giustificando così la sua fuga: «si jo song brutta allora loro hanna venì fino è cà ‘n gopp a truvà!» (“se io sono brutta, allora loro dovranno venire fino a quassù per farmi visita!”). Da qui l’appellativo Schiavona, cioè “straniera”.
La storia poi si ribalta, Mamma Schiavona, simbolo di protezione degli ultimi, dei deboli, dei poveri e degli emarginati, diventa la più bella delle sorelle, tanto da essere festeggiata due volte all’anno: il 2 febbraio, giorno della Candelora, e il 12 settembre, giorno di Santa Maria. Queste due date segnano rispettivamente l’apertura e la chiusura della festa delle sette Madonne che, come gran parte dei culti mariani, affonda le sue radici in arcaici riti precristiani legati al culto della Madre Terra e volti a propiziare un buon raccolto.
La Juta a Montevergine nel giorno della Candelora
La Candelora, è una festa religiosa che si celebra per ricordare la presentazione del Signore al Tempio e il rito di purificazione della Vergine Maria quaranta giorni dopo la nascita di Gesù. Il nome deriva dal latino, da candelorum e candelaram, ovvero la benedizione delle candele che vengono conservate in casa dai fedeli e accese per placare l’ira divina o in quei momenti della vita che necessitano dell’intervento divino.
Come molte feste cristiane anche questa ha origine remote. Nella tradizione celtica, la festa di Imbolc, segnava il passaggio tra l’inverno e la primavera, cioè tra la più profonda oscurità alla luce. Nel mondo romano la Dea Februa, altro nome di Giunone, veniva festeggiata alle calende di febbraio (primo giorno del mese nel calendario romano).
Nel giorno della Candelora, come già accennato, si compie anche uno degli eventi più suggestivi e caratteristici della tradizione campana: la juta a Montevergine dei femminielli. Un nutrito gruppo, ogni anno, rinnova la propria fede cattolica presentandosi in processione all’antica abbazia dove li aspetta Mamma Schiavona, pronta ad accoglierli.
Il rito si rifà ad un’antica leggenda secondo cui, nel 1256, due giovani omosessuali furono scoperti a baciarsi e ad amarsi. Di fronte a questo evento l’intera comunità reagì denudando e cacciando dal paese i due innamorati, i quali furono successivamente legati ad un albero sul Monte Partenio, in modo che morissero di fame o fossero sbranati dai lupi. La Vergine, commossa dalla loro vicenda e dal loro amore, li liberò dalle catene e permise alla giovane coppia di vivere apertamente il loro sentimento di fronte ad un’intera comunità che, attestato il Miracolo, non poté far altro che accettare l’accaduto.
La juta a Montevergine nel giorno di Santa Maria
Il 12 settembre di ogni anno ha luogo la juta a Montevergine. I pellegrini, giunti da ogni parte della Campania, si riuniscono nella piazza di Ospedaletto d’Alpinolo e da qui partono per compiere la cosiddetta sagliuta, “salita”, verso il Santuario di Montevergine: «Chi vo’ grazia ‘a Mamma Schiavona, ca sagliesse lu Muntagnone» , cioè “Chi vuole la grazia di Mamma Schiavona, deve scalare la grande montagna”.
I fedeli affrontano la pendenza del percorso in totale silenzio, il quale cessa una volta giunti ai piedi della scalinata del Santuario. Caratteristico, infatti, è il canto che viene eseguito sull’antica “scala santa” della Chiesa, costituita da 23 gradini, su ciascuno dei quali ci si ferma, un solista intona la proposta mentre il coro conclude. Alla fine del rito, si entra in Chiesa e dopo averla attraversata si esce dalla porta principale cantando a suon di tamburo, senza mai voltare le spalle al quadro della Madonna. Infine, si ci congeda da Mamma Schiavona intonando il seguente canto: «E statt buon Maronna mij, l’ann’ che vene turnamm’ a venì», ovvero “Stammi bene Madonna mia, il prossimo anno torneremo da te”.