Nel comune di Gesualdo, collocato fra le Valli d’Ansanto e dell’Ufita, nel 1596 soggiornò il principe Carlo Gesualdo, la cui presenza diede senza dubbio lustro al borgo e trasformò il Castello di Gesualdo in una raffinata dimora capace di accogliere letterati e poeti.
Durante questo periodo, il principe fece edificare la Chiesa di Santa Maria delle Grazie, con annesso convento, al cui interno è custodita la “Pala del Perdono”, nota anche come “Il Perdono di Carlo Gesualdo”, attribuita a Giovanni Balducci.
La Chiesa di Santa Maria delle Grazie a Gesualdo
La Chiesa di Santa Maria delle Grazie fu uno dei luoghi di culto fatti erigere da Carlo Gesualdo nel 1592, insieme al Convento dei Frati Cappuccini che, in seguito, fu ampliato da Niccolò Ludovisi nel 1629.
La facciata, molto semplice e austera, in stile francescano, presenta sopra l’arco d’ingresso lo stemma Gesualdo-d’Este. L’interno, a unica navata, presenta un altare maggiore in marmo policromo intarsiato e altri due altari minori sul lato destro; sul lato sinistro, vicino all’ingresso principale, vi è una cappella dedicata alla Madonna delle Grazie, anch’essa con un altare incassato.
La Pala del Perdono di Carlo Gesualdo
Nella Chiesa, dietro l’altare maggiore, in una cornice di stucco aggettante, si può ammirare il dipinto intitolato “Il perdono di Carlo Gesualdo” (cm 481 x cm 310) di Giovanni Balducci, realizzato a Firenze nel 1609.
Il quadro è ritenuto “l’icona del pentimento”, all’interno della quale il principe avrebbe fatto trasportare per immagini il suo tormento interiore per il duplice assassinio della prima moglie Maria d’Avalos e del suo amante, Fabrizio Carafa Duca d’Andria.
La tela votiva raffigura la richiesta di perdono per tutta l’umanità peccatrice, così come il principe musicista, nel 1585, scrisse nel suo primo mottetto “Perdona, Signore, i nostri peccati”. L’intera opera va letta come una dinamica “sacra conversazione” tra il divino e il peccatore che implora il suo perdono.
La pala è divisa in due registri e, in entrambi, quasi tutte le figure sono dipinte nell’atto di compiere un gesto e pronunciare una frase.
Il primo registro
Nel primo registro, partendo dall’alto, osserviamo Cristo, assistito da alcuni angeli, che troneggia con la mano destra alzata in segno di benedizione e di assoluzione mentre, nella mano sinistra, cinge il globo. Alla sua destra, sono raffigurati la Madonna e una schiera di santi che intercedono per Gesualdo, il quale ha ricevuto opere di bene e donazioni, tra cui la costruzione di chiese e monasteri, per mezzo del suo principe Carlo.
Tra i santi è possibile riconoscere San Michele, San Francesco, San Domenico, Santa Caterina e la Maddalena.
Il secondo registro
Nel secondo registro, in basso a sinistra, si vede il Principe genuflesso, con le mani congiunte nell’atto di pregare Cristo, accompagnato e sostenuto dallo zio Carlo Borromeo, successivamente santificato.
Al centro del registro è raffigurato, con le ali di un angioletto, il piccolo Alfonsino, morto nel 1600, all’età di 5 anni, nato dal matrimonio con Eleonora d’Este, anch’ella presente nel dipinto proprio di fronte al principe, raffigurata in atto di preghiera.
Al centro, in basso, scorgiamo le fiamme del Purgatorio da cui gli angeli portano in cielo le anime purificate mentre, proprio sul fondo della composizione, Maria d’Avalos e Fabrizio Carafa bruciano avvolti dalle fiamme eterne.
La parte finale della Pala
A chiudere la composizione, in basso, vi sono dei pilastri composti di pietra, mentre in alto, nella sfera celeste, è possibile scorgere due figure di santi: San Domenico e San Francesco, atti a testimoniare il ruolo fondamentale che hanno avuto nella Chiesa con la costituzione dei due ordini monastici.
Altro elemento di rilievo è lo sguardo di ogni figura che è rivolto al Cristo per chiedere il perdono del Principe. La Maddalena, invece, essendo la peccatrice per antonomasia, volge il suo sguardo al peccatore per chiedergli di redimersi dai suoi peccati.
Infine, Eleonora d’Este pare ammirare gli spettatori, come se volesse invocare anche l’intercessione dei posteri.
Il restauro della Pala del Perdono di Carlo Gesualdo
Con il restauro del dipinto, terminato nel 2004, la Pala del Perdono è stata riportata all’originale composizione. Nel corso dei secoli, infatti, l’opera è stata oggetto di “correzioni” più o meno vistose, dettate dalle diverse credenze e dai diversi stili, di volta in volta, imposti dalla Chiesa.
Per esempio, in seguito alle conseguenze sancite nel Concilio di Trento e dalla Controriforma che impedivano di esporre nelle chiese dipinti che raffigurassero rappresentazioni poco riverenti a un luogo sacro, la figura di Eleonora d’Este fu ricoperta con una tonaca da monaca, mentre la Maddalena fu rivestita con un abito accollato. Ora, Eleonora indossa un abito “alla spagnola” e la Maddalena presenta un vestito con una scollatura.
Tra le altre modifiche apportate vi fu anche l’inspiegabile cancellazione del nome dell’autore, Giovanni Balducci, poi riemerso in seguito al restauro dell’opera.
Il convento dei Cappuccini
Il convento, dal bellissimo chiostro e giardino, è luogo di serafica pace. Per decenni è stato la sede del corso di studi in Teologia Morale per i seminaristi francescani dell’ordine dei Cappuccini. Qui soggiornò, per completare i suoi studi, San Pio da Pietrelcina, nei mesi di novembre e dicembre del 1909.
A testimonianza di quella straordinaria presenza, è possibile visitare la cella dove visse il santo e un piccolo Museo in cui sono custodite reliquie e testimonianze del passaggio di San Pio da Pietrelcina a Gesualdo.